MILANO – Si è tenuta nei giorni scorsi, presso il Tribunale di Milano, l’udienza dedicata alle arringhe difensive nel processo a carico di Gianfranco Cerea, 63 anni, imputato per truffa aggravata, appropriazione indebita e tentata estorsione nei confronti di Cristina Caleffi, 61 anni, parte civile nel procedimento.
Secondo la ricostruzione della Procura, sostenuta dalla pm Emma Vittorio, Cerea avrebbe approfittato della fiducia e dell’inesperienza della Caleffi in materia di investimenti artistici per indurla a compiere acquisti non vantaggiosi, sottrarle beni e, in una fase successiva, tentare di esercitare pressioni affinché ritirasse le accuse. La pubblica accusa ha richiesto la condanna dell’imputato a sette anni e mezzo di reclusione.
Durante l’udienza, gli avvocati Tiziana Bellani ed Enrico Mastropietro, difensori dell’imputato, hanno contestato il profilo di “vittima inconsapevole” attribuito alla parte civile, sottolineando invece l’autonomia decisionale della Caleffi in numerose operazioni, tra cui viaggi in Svizzera e investimenti finanziari condotti al di fuori della sfera di influenza dell’imputato. In particolare, la difesa ha posto l’accento su comportamenti che, a loro dire, dimostrerebbero la piena consapevolezza e l’iniziativa autonoma della querelante.
I legali hanno anche richiamato una registrazione effettuata dalla stessa Caleffi nel 2018, in cui si farebbe riferimento a pressioni esercitate dalla Procura per indurla alla denuncia. Secondo la difesa, la donna avrebbe disconosciuto operazioni precedentemente ammesse, compromettendo così l’accertamento della verità su transazioni effettivamente avvenute nel 2015.
Per quanto riguarda l’accusa di tentata estorsione, Bellani ha sottolineato come le frasi attribuite all’imputato (“altrimenti ti faccio causa”) rappresentino un esercizio di un diritto legale e non un comportamento penalmente rilevante. La difesa ha inoltre contestato la rilevanza probatoria del documento rinvenuto nel computer di Cerea, soprannominato “mazza chiodata”, sostenendo trattarsi di appunti personali indirizzati ai propri legali.
La valutazione delle opere acquistate, altro nodo centrale del processo, è oggetto di forte contrasto: la Caleffi sostiene un valore complessivo di 130 milioni di euro, mentre le stime attuali le ridimensionano a circa 26 milioni. La difesa afferma che i prezzi corrisposti fossero in linea con il valore reale delle opere all’epoca dei fatti.
Alla luce di quanto esposto, i legali hanno chiesto l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non sussiste” o, in subordine, “perché non costituisce reato”. La presidente del collegio è la giudice Eleonora De Marco. Le repliche sono fissate per il 28 maggio, data in cui potrebbe essere emessa la sentenza.