I social: una bomba ad orologeria nelle mani di un bambino

L’impatto dei social media sui minori è un argomento complesso, che alla luce dei recenti fatti di cronaca in cui sono stati coinvolti minori in reati, quali istigazione al suicidio online, cyberbullismo ed atti di emulazione di violenza incontrollata, richiede urgenti riflessioni.

Oggigiorno, la tecnologia e i social media sono diventati parte integrante della nostra quotidianità, infiltrandosi in ogni ambito della vita umana. Sebbene innegabili sono i vantaggi che apportano, questi affascinanti strumenti che ci offrono infinite possibilità, se mal gestiti, possono presentano molti rischi, soprattutto per categorie vulnerabili, come i bambini.

Per i minori, cresciuti in una realtà in cui la connessione è immediata e il virtuale sovrasta il reale, questo scenario presenta opportunità seducenti ma anche trappole insidiose. È il progresso tecnologico il mentore che forma i cittadini di domani o un seduttore che erode la loro innocenza?

I social media, progettati per connettere, spesso isolano. Per molti adolescenti, piattaforme come Instagram, TikTok e Snapchat non sono solo intrattenimento, ma strumenti per costruire la propria identità. I “like” diventano l’unità di misura dell’autostima, mentre la perfezione patinata degli influencer crea standard irrealistici, portando a confronti incessanti.

Ancora più preoccupante è l’impatto sulla salute mentale. Tra i fattori di rischio psicologici, emergono la scarsa tolleranza alla frustrazione, difficoltà nella regolazione emotiva e disturbi mentali, come ansia e depressione. Un uso eccessivo dei social media provoca disturbi del sonno, ansia, stress e problemi di tipo relazionale, come l’isolamento e la sostituzione del mondo reale con quello virtuale. 

A riguardo fa riflettere la facilità con cui un bambino immergendosi nella realtà virtuale di un video gioco simuli in maniera naturale atti violenti, oppure come i social possano diventare strumento d’istigazione all’odio, o ancora come un contenuto sensibile possa diventare immediatamente virale incentivando il bullismo o l’istigazione al suicidio. 

Gli adolescenti, in particolare, sperimentano un irrefrenabile bisogno di essere connessi, mostrando sintomi quali preoccupazione per l’uso dei social, sviluppo di tolleranza e astinenza, difficoltà in ambiti personali e sociali. Ironico, no? Una tecnologia creata per avvicinare le persone sembra contribuire a un’epidemia di solitudine digitale.

Di fronte a questi pericoli, la responsabilità ricade inevitabilmente sui genitori.

 Ma come si può vigilare su un mondo virtuale che cambia a velocità vertiginosa? Molti genitori, pur consapevoli dei rischi, si trovano disarmati di fronte alla complessità della rete. Bloccare l’accesso o limitare il tempo online non è una soluzione a lungo termine; occorrono educazione e dialogo.

Le scuole e le istituzioni pubbliche attuano programmi di alfabetizzazione digitale e campagne di sensibilizzazione per aiutare i minori a navigare il web con consapevolezza, sviluppando competenze che li proteggano da manipolazioni e pericoli. 

Sebbene la tecnologia abbia il potenziale di rivoluzionare l’educazione permettendo con un solo clic di avere accesso a un mare infinito di conoscenza e a strumenti interattivi che ampliano orizzonti stimolando il pensiero critico, non bisogna dimenticare che gli algoritmi delle piattaforme non sono progettati per il bene comune, bensì per il profitto, e spesso ciò che premiano è ben lontano da un contenuto educativo.

Dunque, se il digitale è la nuova biblioteca di Alessandria, chi controlla i suoi custodi?  

Affidare esclusivamente ai genitori e alle istituzioni il controllo sull’utilizzo dei social network può risultare insufficiente, soprattutto considerando la rapidità con cui la tecnologia evolve e i molteplici modi in cui i giovani possono accedervi.

La chiave risiede in un impegno condiviso tra famiglie, scuole, piattaforme e governi. 

I social network sono al centro di un enorme flusso economico e di potere globale. Le piattaforme generano profitti attraverso la pubblicità mirata, la raccolta dei dati e l’engagement degli utenti, e questo crea interessi economici che a volte possono entrare in conflitto con il benessere degli stessi utenti.

Senz’altro sono necessari interventi normativi atti a disciplinare le piattaforme di social media inducendoli a progettare i loro prodotti avendo come focus la salute degli utenti, il benessere e i diritti umani e civili.

Secondo uno studio condotto da Jonnie Penn “se non regolamentata, l’economia dell’intenzione potrebbe trasformare le motivazioni umane in una sorta di valuta, creando una competizione per chi riesce a catturare, indirizzare e vendere intenzioni umane”.

L’aspetto del potere è altrettanto significativo: i social network non solo influenzano le abitudini e le opinioni, ma hanno anche un impatto sulla politica, l’economia e la cultura globale. Alcuni temono che l’uso dei dati e delle tecnologie possa essere sfruttato per manipolare opinioni o comportamenti a fini strategici.

Affrontare questi interessi è complicato, perché le stesse piattaforme hanno un’influenza enorme e spesso i governi e le istituzioni si trovano in una posizione difficile nel trovare un equilibrio tra regolamentazione e libertà digitale. 

Probabilmente, servirebbe una mobilitazione globale e un maggiore impegno per rendere il sistema più trasparente e orientato al bene comune.

Inoltre, si dovrebbe consentire ai governi di adottare normative più adatte alle realtà culturali, sociali ed economiche dei propri paesi, invece di essere vincolati a regole universali spesso dominate dalle grandi aziende tecnologiche.

Non da ultimo si dovrebbe aprire una strada che individui un nesso di causalità tra quella serie di casi di cronaca, che per come ci appaiono, trovano chiara giustificazione negli effetti negativi conclamati che hanno i social sui giovani, in modo da responsabilizzare le multinazionali social alla gestione responsabile dei propri prodotti.

La tecnologia, alla fine, è solo uno strumento. Come un bisturi può salvare vite nelle mani di un chirurgo o causare danni nelle mani sbagliate, così i social media e i dispositivi digitali possono essere sia un ponte verso un futuro migliore sia un abisso che inghiotte le nuove generazioni.

In primis, siamo noi, come società, a dover scegliere quale futuro costruire. Ignorare i rischi e lasciarci sedurre dal fascino delle notifiche è una strada pericolosa. Ma demonizzare indiscriminatamente il digitale significa anche perdere di vista le sue infinite potenzialità. Forse, la vera provocazione è questa: in un mondo sempre più connesso, siamo davvero pronti a insegnare ai giovani il valore della disconnessione?

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