Torino – Dieci anni di bilanci sospetti, milioni di euro sfumati, ruoli apicali sotto accusa. L’inchiesta sulla gestione contabile della Città della Salute di Torino approda ora alla fase cruciale: i pubblici ministeri Giulia Rizzo e Mario Bendoni hanno chiesto il rinvio a giudizio per sedici ex manager che tra il 2013 e il 2023 hanno diretto l’azienda sanitaria più grande del Piemonte.
Le accuse, tra cui falso ideologico in atto pubblico e truffa aggravata, riguardano la sistematica alterazione dei rendiconti economici, con particolare riferimento alla gestione della libera professione in intramoenia. A finire nel mirino, Gian Paolo Zanetta, Silvio Falco, Giovanni La Valle, Andreana Bossola, Valter Alpe e Beatrice Borghese, difesi tra gli altri dagli avvocati Alberto Mittone, Natascia Taormina e Beatrice Rinaudo.
Secondo gli atti, i bilanci approvati durante le loro gestioni avrebbero rappresentato una realtà finanziaria più solida di quanto fosse effettivamente. Al centro dell’indagine, il presunto occultamento di perdite legate all’intramoenia, che invece sarebbe stata esercitata “in perdita”, contrariamente a quanto riportato.
Il danno contestato alla Regione Piemonte e, di riflesso, ai cittadini, è stimato in circa 7 milioni di euro: soldi mai recuperati, crediti diventati inesigibili, e il mancato versamento del 5% previsto dalla legge Balduzzi, norma pensata per migliorare l’efficienza e ridurre le liste d’attesa.
Non tutti gli indagati finiranno a processo: sono state archiviate le posizioni di sei sindaci, due direttori sanitari (Maurizio Dall’Acqua e Lorenzo Angelone, difesi dagli avvocati Andrea Cianci e Gian Maria Nicastro) e altri tre ex manager che avevano segnalato le irregolarità. Anche per l’ex direttore generale Del Favero, in carica nel 2013, si va verso l’archiviazione.
Gli imputati respingono le accuse. «Abbiamo lavorato per mettere ordine, non per creare confusione», fanno sapere La Valle e Borghese tramite l’avvocato Taormina. L’udienza preliminare è attesa per il periodo successivo all’estate. Il procedimento si preannuncia lungo e destinato a lasciare segni profondi nella sanità piemontese.