Anni in testacoda

Nella raccolta di poesie di Massimo Cecchini il testacoda è il modo in cui passato e presente convergono e si ritrovano

Se è vero che ogni essere umano, oltre a una vita pubblica e privata, possiede anche una vita segreta, è probabile che la poesia sia l’unica lingua in grado di raccontarla. Perché non ha bisogno di assoggettarsi a una narrazione, a una logica degli eventi, al narcisismo per aggiunta o sottrazione presente in modo inesorabile in qualsiasi forma di autobiografia. 

In questo senso la raccolta ”Anni in testacoda” scritta da Massimo Cecchini (Fallone Editore), rappresenta il paradigma di questo tipo di declinazione poetica, che per certi versi si specchia nella sua attività di romanziere (ricordiamo “Il Bambino”, candidato al Premio Strega 2023). 

Seguendo la linea di un tempo “in testacoda”, proprio perché passato e presente finiscono per ritrovarsi, le poesie illuminano il flusso dei pensieri, facendosi aiutare dalla scansione, dal ritmo, dal suono o dalla metafora per riuscire a liberare quella forma in cui potersi riconoscere e quindi farsi conoscere. 

Il bilancio a volte può sembrare inesorabile, ma frammenti di luce trovano la strada della serenità. E a quel punto non è un problema se tra il punto di arrivo e quello di partenza non si sia fatta poi molta strada. 

Del resto, ogni storia è storia di amori, promesse, fantasmi, tradimenti, appagamenti e inadeguatezze che ballano in tondo senza sosta, concedendo solo la possibilità di raccogliere schegge di ricordi da provare a rianimare attraverso la parola. 

E questo libro è l’esito di quanto è stato tentato. 

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