ROMA – Si è chiusa definitivamente, con una pronuncia irrevocabile della Corte di Cassazione, la vicenda giudiziaria che ha visto imputato un imprenditore casertano per il reato di appropriazione indebita in relazione a un contratto di fornitura di mascherine mai eseguito durante l’emergenza sanitaria da Covid-19.
L’uomo, assistito dall’avvocato Pasquale Acconcia, era stato inizialmente condannato in primo grado e in appello per aver trattenuto 100mila euro a fronte di un acconto da 169mila ricevuto da una cliente. Secondo l’accusa, avrebbe illegittimamente trattenuto la somma residua dopo aver restituito solo una parte dell’anticipo, in violazione degli obblighi contrattuali.
La difesa ha sostenuto, invece, che il denaro incassato fosse legittimamente entrato nel patrimonio dell’imprenditore, non essendoci alcuna vincolatività d’uso prevista dal contratto. La Cassazione ha accolto questa impostazione, escludendo l’elemento dell’altruità necessario a integrare la fattispecie penale di cui all’art. 646 c.p.
Con la sentenza, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la pronuncia della Corte d’Appello, revocando anche le statuizioni civili. Il fatto è stato ritenuto insussistente, in quanto afferente a un’eventuale responsabilità civile da inadempimento, ma non penalmente rilevante.
Il principio affermato dalla Cassazione si inserisce nel solco della giurisprudenza prevalente: in assenza di un vincolo specifico sul denaro, non può parlarsi di appropriazione indebita. Si tratta di un precedente importante in materia di responsabilità penale nei contratti commerciali, specie nei contesti emergenziali in cui le forniture risultano sospese o non eseguite.