ANCONA – Lavoravano nei campi da mattina a sera, sotto il sole, senza diritti né tutele, e spesso senza sapere nemmeno a chi rivolgersi. In silenzio, per anni. Ora, cinque persone di origine pachistana sono accusate di averli sfruttati sistematicamente per puro profitto. Il procedimento giudiziario, rinviato al prossimo 6 ottobre per lo sciopero degli avvocati penalisti, vede imputati cinque uomini tra i 28 e i 46 anni, residenti tra Cupramontana e Cingoli.
La giudice Francesca De Palma si pronuncerà sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla Procura, che ipotizza per tutti i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Al centro dell’inchiesta ci sono circa 40 braccianti provenienti da Pakistan e Sudafrica, molti dei quali ospiti dei centri di accoglienza per richiedenti asilo. Gli investigatori dei carabinieri hanno ricostruito un vero e proprio sistema di caporalato, scoperto dopo un controllo stradale nel Pesarese nel 2021 e sviluppato grazie all’uso di cimici installate nei furgoni.
I lavoratori venivano impiegati fino a 12 ore al giorno per raccogliere ortaggi e verdure, pagati solo 5 o 6 euro l’ora. Non solo: dovevano anche pagare un affitto mensile di 150 euro per vivere in abitazioni degradate, spesso sovraffollate, prive dei minimi requisiti igienici.
Gli inquirenti descrivono una struttura piramidale. Il capo, titolare di una ditta con base a Cupramontana, gestiva reclutamento e alloggi; un collaboratore pianificava i turni; altri tre imputati seguivano i trasporti e la sorveglianza dei lavoratori. Le difese sono affidate agli avvocati Maria Alessandra Tatò e Federica Guarrella.
Molti dei braccianti si sono presentati in aula, in silenzio ma con la speranza che qualcuno, questa volta, ascolti davvero le loro storie.