MADRI e MINORI in carcere

In Italia, le donne detenute (4 istituti carcerari femminili e 54 sezioni femminili in istituti maschili) rappresentano il 4% della popolazione carceraria; si tratta di circa 3000 donne, delle quali, oltre il 40% straniere e/o extracomunitarie, alcune detenute con i propri figli. A mezzo della l. n. 40/2001, è stata prevista la detenzione domiciliare ordinaria e speciale; a mezzo della l. n. 62/2011 sono stati istituiti gli ICAM, ovvero i c.d. Istituti a Custodia Attenuata per detenute madri: trattasi di strutture penitenziarie speciali nate con l’obiettivo di tutelare il diritto dei bambini a crescere in un ambiente il più possibile sereno e simile a quello familiare, pur in presenza della detenzione della madre, al fine di garantire, comunque, un più possibile normale sviluppo psicofisico del bambino e favorire il reinserimento sociale della madre. 

Gli ICAM sono una forma alternativa al carcere tradizionale per madri detenute, in stato di gravidanza o con figli di età inferiore ai 6 anni, (salvo esigenze cautelari di particolare gravità), in cui viene garantita una custodia attenuata, un regime detentivo meno rigido, con spazi più accoglienti, personale specializzato e servizi dedicati anche ai bambini, in ambienti più simili a una casa-famiglia, con stanze arredate, spazi gioco, cortili, cucine comuni. In attualità, sono 5 gli ICAM operativi in Italia (Milano, Venezia, Torino, Roma, Lauro (AV)). Sono stati, altresì, istituiti 16 asili nido; è previsto un supporto psicologico e di sostegno alla genitorialità per le donne detenute madri. 

La l. n. 62/2011, tutela i diritti umani, tende a realizzare il carattere riabilitativo della pena, garantisce il diritto alla salute ed al benessere psicofisico dei bambini; il diritto alla genitorialità, anche perché ha previsto l’innalzamento da 3 a 6 anni, dell’età dei figli per le cui madri sarebbe stato possibile richiedere il rinvio dell’esecuzione della pena. 

L’introdotto modello della c.d. “custodia attenuata” ha effetti positivi sulle detenute e sul loro percorso di reinserimento della società; riguardo alla situazione del minore che vive presso l’ICAM, trattandosi sempre e comunque di una condizione di detenzione, certamente preferibile al carcere, come tale percepita dai bambini, rimangono potenziali conseguenze negative sul loro sviluppo, dovendosi, quindi, ulteriormente favorire il ricorso a misure alternative, come la detenzione domiciliare o presso le case famiglia protette, ove, da un lato, far scontare la pena alle detenute, ma dall’altro, garantire ai loro figli un’infanzia il più possibile assimilabile a quella dei bambini liberi.

In estrema sintesi, fino a pochi giorni fa, in Italia, quando una donna veniva arrestata ed era madre di minori, non poteva essere semplicemente tradotta in carcere; anzi, se i figli avevano meno di un anno era obbligatorio il rinvio della pena, se ne avevano meno di tre, il rinvio era facoltativo. A quel punto la donna poteva decidere di affidare i figli a qualcuno e di entrare in carcere, oppure di tenerli con sé, possibilità prevista dalla legge 354 del 1975, la prima tra quelle che in Italia hanno regolamentato la condizione delle detenute madri.

Diversamente, la nuova disciplina normativa introdotta con il c.d. “decreto sicurezza”, entrato in vigore il 4 giugno 2025, all’art. 15, laddove apporta modifiche alla disciplina del c.d. rinvio dell’esecuzione della pena (artt. 146 e 147 c.p.), prevede la detenzione per donne incinte e madri, sia che trattasi per custodia cautelare che per uno sconto di pena (anche se specifica che detta debba avvenire obbligatoriamente presso un Istituto a custodia attenuata per madri (ICAM)). 

In altre parole, il rinvio dell’esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore ad un anno non è più obbligatorio, ma diventa facoltativo e si dispone che scontino la pena, qualora non venga disposto il rinvio, presso un ICAM. Inoltre, l’esecuzione della pena non è rinviabile, ove sussista il rischio, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti; il differimento della pena può essere revocato se la madre ha comportamenti che potrebbero arrecare un grave pregiudizio alla crescita del minore; se la pena non viene differita, per le madri di figli di età compresa tra 1 e 3 anni, la pena potrà essere eseguita presso un ICAM, solo se le esigenze di eccezionale rilevanza lo consentano. 

Il decreto sicurezza mira a sconfiggere, a mezzo del deterrente della detenzione in carcere, il problema, oramai dilagante e costituente allarme sociale, delle rapine e dei borseggi, che vede spesso quali autrici, donne incinte o con figli minori di tenerissima età.In applicazione della “nuova” disciplina normativa, i neonati ed i figli minori di donne autrici di reato, verranno “incolpevolmente” colpiti da un vulnus intollerabile”, con conseguenti gravi danni, verosimilmente, in parte, irreparabili. L’interesse superiore del minore, in tutta evidenza, è di vivere fuori dal carcere: non necessita stabilire la bontà di detto principio a mezzo di valutazione discrezionale individuale. Anche in considerazione delle condizioni in cui versano le carceri italiane, la norma in questione presenta possibili profili di incostituzionalità, per violazione dei principi di tutela della maternità e dell’infanzia (art. 31 co. 2 Cost.) e di umanità della pena (art. 27 co. 3 Cost.), oltre che problemi di compatibilità con le Regole penitenziarie europee adottate nel 2006 ed aggiornate nel 2010 e con le Regole per il trattamento delle donne detenute (c.d. Regole di Bangkok); nonché possibili contrasti con le Regole delle Nazioni Unite, laddove si prevede (n. 34.3), che deve essere autorizzato il parto delle donne detenute fuori dal carcere e (n. 64) che a tutela del superiore interesse dei minori, debbano essere privilegiate, quando possibile, le pene non privative della libertà per le donne incinte e per le donne madri di figli minori. Anziché prevedere il carcere ed accentuare la restrizione, sia pur in una situazione di “custodiaattenuata”, sarebbe, forse, più efficace prevedere per le donne e madri detenute, misure alternative e di giustizia riparativa. Invero, concordare il modo migliore per riparare il danno e reinserire le donne nella società, vorrebbe dire sostenere anche la loro prole, con risultati in termini di abbattimento di recidiva e minori possibilità che i figli intraprendano percorsi di devianza.

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