Una storia lunga quattordici anni si è chiusa con un verdetto destinato a far discutere. Il Tribunale di Torino ha assolto un uomo di 37 anni, accusato di aver abusato sessualmente della nipote a partire dal 2010, quando la bambina aveva solo cinque anni. La sentenza, pronunciata dalla giudice Manuela Accurso Tagano, ha adottato la formula dell’assoluzione piena: “il fatto non sussiste”.
L’inchiesta era nata nel 2022, dopo che la presunta vittima, oggi ventenne, aveva rivelato i presunti abusi durante un colloquio medico. Le sue dichiarazioni avevano dato il via a un’indagine penale complessa, guidata dalla pm Barbara Badellino, che aveva chiesto sei anni di reclusione per l’imputato. Ma la difesa, rappresentata dagli avvocati Giuseppe ed Enrica Cosentino, è riuscita a smontare le accuse, puntando sull’assenza di prove oggettive e su una possibile suggestione emotiva.
“La verità processuale ha prevalso”, ha dichiarato l’avvocato Giuseppe Cosentino. “Abbiamo dimostrato che non vi erano elementi concreti a sostegno delle accuse. Il nostro assistito ha affrontato tutto con dignità e piena collaborazione”.
La sentenza evidenzia un tema ricorrente nei processi per abusi sessuali: la difficoltà di provare fatti lontani nel tempo, in assenza di referti medici, testimonianze terze o intercettazioni. La ragazza aveva spiegato di non aver parlato prima per timore di ripercussioni familiari, ma le sue parole non sono bastate a superare il principio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”.
Il caso divide: da una parte un uomo assolto da un’accusa devastante, dall’altra una giovane che sostiene di aver subito abusi da chi avrebbe dovuto proteggerla. Sul piano giuridico la vicenda si è chiusa, ma sul piano umano il dibattito è tutt’altro che concluso.