Il Lato Oscuro del Progresso
Qualche anno fa, il noto scienziato cognitivo Steven Pinker pubblicò il libro Illuminismo adesso, in continuità con un altro suo saggio, Il declino della violenza. In queste opere, Pinker sosteneva — basandosi su dati statistici a sua disposizione — che il mondo stesse vivendo un’epoca di rapidi progressi in salute, pace, prosperità e sicurezza. A suo avviso, ciò era merito dell’affermazione dei valori illuministici dell’Occidente, fondati sulla ragione, sulla scienza e sulla fiducia nel progresso.
Le sue idee si inserivano nella scia di un altro celebre pensatore, Francis Fukuyama, che scrisse un famoso libro “La fine della storia e l’ultimo uomo” che molti hanno interpretato come se sostenesse che, dopo la fine della Guerra Fredda, si sarebbe giunti alla “fine della storia”: un’epoca di benessere e pace garantita dalla diffusione globale della democrazia e della libertà.
Tuttavia, lessi queste considerazioni mentre riflettevo su studi e ricerche — suffragate da prove consistenti — che raccontavano una realtà ben diversa da quella tratteggiata da Pinker e dagli interpreti di Fukuyama: un mondo attraversato da una crise morali, sociale ed economica senza precedenti, e dove l’ideologia del progresso veniva esaltata in modo acritico, ignorandone gli effetti collaterali. Mentre cresceva la consapevolezza che cambiamenti generati repentinamente e su larga scala dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione economica avrebbero potuto rendere il futuro ancora più carico di rischi e incertezze.
L’Illusione del Nuovo Ordine Mondiale
Intanto fu subito evidente che un nuovo ordine mondiale fondato sulla pace è una pura illusione: oggi non esistono solo la guerra in Ucraina e in Medio Oriente. Attualmente, sono attivi ben 56 conflitti armati nel mondo, il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale. Solo negli ultimi cinque anni, gli eventi di conflitto sono raddoppiati: dai 105.000 del 2020 ai 200.000 del 2024.
Ancor più preoccupante è il fatto che l’‘ intelligenza e diplomatica e le capacità negoziali sembra no essersi estinte, mentre una pericolosa mentalità bellicista si è insinuata anche in gran parte delle leadership europee, accompagnata da una generale inettitudine politica che ci sta portando verso la catastrofe. Ma questo non è argomento di oggi.
Il Declino dell’America
Uno dei segnali più forti della crisi veniva proprio dagli Stati Uniti, dalla capofila dell’Occidente. Un recente libro Morti per disperazione degli economisti Anne Case e Angus Deaton descrive una società devastata. Che ci fa capire perché abbia vinto Trump e perché egli voglia introdurre i dazi.
Uno scrittore americano ha osservato che, sebbene il diritto al perseguimento della felicità sia scritto nella Dichiarazione di Indipendenza, mai gli americani sono stati così infelici. I dati lo confermano: negli ultimi tre anni, negli USA, l’aspettativa di vita è diminuita, soprattutto tra le fasce meno istruite. Il ceto medio e la classe operaia vivono un declino catastrofico in termini salariali e di status sociale. A un sindacalista che chiese quando sarebbero tornate a crescere le retribuzioni, fu risposto: “forse tra due o tre generazioni”.
La piaga della droga è impressionante: in pochi anni si è passati da 2.000 a 100.000 morti annui. Crescono anche i suicidi e i decessi legati all’abuso di alcol e farmaci. L’epidemia di obesità ha raggiunto livelli senza precedenti. E, per concludere questa rapidissima sintesi, negli ultimi vent’anni il quoziente intellettivo medio della popolazione ha cominciato a diminuire in modo significativo: un’inversione del cosiddetto effetto Flynn, lo studioso che osservà al tempo il fenomeno della crescita del QI
La Crisi dei Giovani
Arriviamo ora alla crisi dei giovani inseparabile ovviamente dalla crisi più generale.
Alcuni selezionatori delle forze armate italiane e statunitensi, con cui ho avuto rapporti di lavoro, mi segnalarono qualche anno fa un allarmante calo della preparazione culturale e psicofisica tra i giovani, tanto da rendere difficile perfino trovare candidati idonei. Eppure, viviamo in un’epoca in cui più persone studiano eppure il livello medio di intelligenza si abbassa.
È un po’ come nell’economia: meno povertà assoluta, ma più disuguaglianze e una classe media in via di estinzione.
Vi cito ora brevemente gli studiosi e i testi che meglio e più di altri hanno analizzato la crisi giovanile e le sue cause, con solide evidenze scientifiche, (e riportando studi longitudinali e correlazionali)
- Lo scrittore Nicholas Carr, ci dice che le tecnologie di comunicazione sono il motore della storia, e che cosa comunichiamo è molto meno importante di come comunichiamo, e scrisse qualche anno fa un libro intitolato Internet ci rende stupidi?, dove ci avvertiva che la rete stava modificando il nostro cervello, minando le nostre capacità cognitive. Il suo nuovo libro Superbloom (nel senso della superfioritura di informazione che la tecnologia ha scatenato) uscito proprio in questi giorni, mostra come le tecnologie di connessione, invece di unirci, ci separino.
- Richard Cytowic, neurologo di fama internazionale, in Un cervello dell’età della pietra nell’era degli schermi ci ricorda che non siamo biologicamente attrezzati per l’iperstimolazione digitale: il sistema cerebrale della ricompensa, sollecitato in modo anomalo genera ansia, distrazione, dipendenza, e rende impossibile l’ autocontrollo e impedisce la libertà di smettere quando si vuole. I meccanismi sono gli stessi della tossicodipendenza. E il neurologo fa un inquietante parallelo tra spacciatori di droga e piattaforme.
- Mary Aiken, psicologa, nel suo monumentale The Cyber Effect, denuncia il lato oscuro della rivoluzione digitale e come un’intera generazione sia stata esposta a contenuti estremi online senza mediazione né controllo.
- Un’altra psicologa Jean Twenge, in Iperconnessi, spiega perché i ragazzi di oggi siano più infelici, meno preparati alla vita adulta e anche meno ribelli. Su questo fatto di essere meno ribelli si potrebbe aprire un nuovo capitolo. Forse i giovani degli anni ’70 non avrebbero accettato passivamente le restrizioni Covid, come i lockdown, che oggi sappiamo essere state in gran parte inutili e dannose.
La Grande Riconfigurazione dell’Infanzia
Lo psicologo Jonathan Haidt, nel recentissimo La generazione ansiosa, parla addirittura di “Grande Riconfigurazione dell’infanzia”. I nati dopo il 1997 — la Generazione Z (qualcuno la indica anche come il gruppo che ha raggiunto la maggiore età nel 2010)— sono stati le cavie di un esperimento sociale di grande portata: sono cresciuti iperprotetti offline e totalmente esposti online.
Dal 2010, con la diffusione degli smartphone, egli ritiene che si sia passati da un’infanzia basata sul gioco a un’infanzia basata sullo schermo. I risultati sono allarmanti: egli parla di crollo della salute mentale dei giovani (senza ovviamente generalizzare, ma siamo comunque su percentuali consistenti). Tra i problemi segnala: carenza di sonno, isolamento sociale, mancanza di empatia, difficoltà nella lettura delle emozioni altrui, deficit di attenzione, ansia, depressione, autolesionismo, violenza, dipendenze.
Bambini e adolescenti, nel pieno sviluppo neurologico, sono particolarmente vulnerabili. La deprivazione del contatto umano e l’iperconnessione li rende ansiosi e incapaci di sviluppare autocontrollo e riflessione profonda.
Haidt introduce il concetto di “antifragilità”: il bambino è per natura “antifragile”, nel senso che per svilupparsi al meglio, ha bisogno di contatto concreto e corporale con la cose e con gli altri, di affrontare rischi (ovviamente con prudenza), non di essere iperprotetto nel mondo reale e abbandonato a sé stesso nel mondo digitale.
Disagio Maschile e Disagio Femminile
Vorrei citare infine il grande sociologo Philip Zimbardo. Nel suo libro Men Interrupted: Why Young Men Are Struggling, ovvero maschi in difficoltà: perché il digitale crea sempre più problemi alla nuova generazione e come possiamo aiutarla. Zimbardo si concentra sul disagio maschile, e quest mi permette di accennare alle differenze con i disagio femminile. Le esperienze nella rete dei due generi differicono in maniera netta. Le ragazze soffrono principalmente per la competizione sui social media, e per come vivono il loro aspetto e la forma fisica; i ragazzi, invece, come risaputo, sono succubi di pornografia e videogiochi. Le statistiche anche qui sono impressionanti
Fino al 2000, prima della possibiltà di accesso facile e sistematico ai siti pornografici i disturbi sessuali sotto i 40 anni colpivano solo il 2% degli uomini. Ma già nel 2012, studi svizzeri e canadesi riportavano un’incidenza del 20-30% tra i 18 e i 24 anni. Calo del desiderio e delle capacità di relazionarsi con l’altro sesso, disfunzioni erettili e financo diminuzione del testosterone. Alcuni dati del 2016 parlavano addirittura del 45%. E l’epoca Covid ha certamente aggravato la situazione.
Il Fallimento Educativo e Culturale dell’Occidente
Che fare? Oltre a promuovere consapevolezza e adottare misure politiche mirate, dobbiamo riconoscere una verità: la crisi attuale è frutto di un fallimento culturale ed educativo. O, più precisamente, del tradimento dell’ ’Occidente (in senso sia soggettivo che oggettivo).
Qualcuno ha detto che stiamo riscrivendo ideologicamente e sostanzialmente la vita sociale e la storia e che abbiamo allevato una generazione che si aspetta la soddisfazione immediata di ogni impulso, e che si illude che il mondo debba adattarsi ai suoi istinti.
Il fatto è che abbiamo dimenticato la grande lezione che sta alle origini della nostra civiltè, ovvero che il progresso va accompagnato da saggezza e misura. In sintesi l’educazione occidentale ha smarrito il principio che gli antichi Greci chiamavano metron ariston: la virtù sta nella giusta misura. Esso significa che solo nel contesto del vivere comunitario e di limiti che facciano da freno agli eccessi distruttivi, l’individuo può davvero realizzare sé stesso.
Si sono invece imposti due assunti ideologici che riassumono il lato oscuro della modernità occidentale:
Il primo è lo scientismo: la fede cieca nella tecnica. Ovvero se qualcosa è tecnicamente possibile e non presenta danni scientificamente provati, è ritenuto accettabile, se risponde a desideri soggettivi, anche se dovesse sconvolgere pratiche e norme radicate nella natura umana. Una delle tragiche conseguenze è l’abolizione del principio di precauzione, per cui, tanto per fare un esempio tra mille, si possono applicare senza proccupazioni Ipad perfino sulla culla o sul seggiolino per bambini
Il secondo assunto ideologica è l’utilitarismo: la svalutazione delle relazioni umane a favore dell’ individuo separato e indipendente che massimizzazione l’ utile personale. Insomma l’ idea che l’individuo sia misura di tutte le cose e che l’altro non è essenziale alla sua realizzazione
Ma l’essere umano è relazionale per natura. Per dire una delle tante osservazioni che mostrano le stesse tendenze, già a un anno i bambini mostrano empatia, attitudine e desiderio di consolare altre persone. Inoltre, l’essere umano ha una sorta di ipersensibilità innata per i volti, da qui l’importanza del contatto faccia a faccia. I neonati già con poche ore di vita senza che abbiano visto un essere umano si girano più velocemente verso l’immagine di un volto che verso un’immagine simile con gli elementi capovolti. Se pensate che è così perché hanno già visto il volto della madre, sappiate che anche nel grembo materno, il feto reagisce di più agli stimoli luminosi proiettati attraverso le pareti dell’utero che formano un volto piuttosto che a stimoli che formano oggetti.
In definitiva, le scienze moderne e un gran numero di ricerche mostrano che la sopravvivenza, l’apprendimento e il benessere dipendono dalla relazione, dal contatto fisico, dal calore umano. L’isolamento, l’assenza di interazioni faccia a faccia e l’iperstimolazione tecnologica minano queste basi fondamentali.
Parte 2 – Due storie esemplari: Roseto Valfortore e un esperimento rivelatore
Per concludere, vorrei raccontare due episodi — una storia vera e un esperimento scientifico — che dimostrano in modo inoppugnabile quanto l’interazione sociale, la vita comunitaria e lo scambio di emozioni e intenzioni siano vitali per il benessere, lo sviluppo e l’apprendimento umano.
Roseto Valfortore
Negli anni ’50, gli abitanti di Roseto Valfortore, un piccolo paese in provincia di Foggia, emigrarono negli Stati Uniti e fondarono una nuova cittadina in Pennsylvania, non lontano da New York. Dopo qualche anno, i medici locali notarono un fenomeno straordinario: in quella comunità non si verificavano morti premature, in particolare per malattie cardiache, già allora diffuse nel resto del paese.
La notizia attirò l’interesse della comunità scientifica. Diverse università americane inviarono commissioni d’indagine per capire l’origine del fenomeno. Si fecero varie ipotesi:
- La dieta mediterranea? Certo provengono dall’Italia!…Si scoprì inveceche i Rosetani mangiavano in realtà peggio degli americani: cibi grassi, fritti, insaccati.
- La genetica? Anche questa fu esclusa: i loro antenati in Italia avevano un’aspettativa di vita identica a quella delle popolazioni circostanti, con le stesse incidenze di mortalità precoce.
- L’ambiente naturale? Anche qui, nessuna differenza significativa rispetto alle città vicine confinanti: dove il tasso di mortalità era nella norma americana.
A quel punto, due studiosi decisero di trasferirsi temporaneamente nella cittadina per osservare direttamente la vita quotidiana degli abitanti. Dopo un periodo di analisi, giunsero a una conclusione sorprendente ma solida: la longevità era dovuta allo stile di vita relazionale. Le persone vivevano in famiglie multigenerazionali, si incontravano regolarmente, si aiutavano, condividevano storie, partecipavano alla vita comunitaria.
In breve: la loro salute era il prodotto della coesione sociale, dell’empatia e del calore umano. Non genetica, non dieta, non ambiente: relazioni.
L’esperimento dello scimpanzé e del bambino
Se la storia di Roseto riguarda l’importanza della socialità per la salute, c’è un esperimento che illustra con straordinaria chiarezza quanto la relazionalità sia anche alla base dell’apprendimento umano.
Nel test, vennero messi a confronto un bambino molto piccolo (un poppante) e uno scimpanzé in un esercizio di imitazione. L’obiettivo era quello di aprire un tubo di plastica chiuso con un tappo, al cui interno erano state inserite delle caramelle.
Un adulto mostrava come aprirlo: prendeva il tubo, toglieva il tappo e prendeva la caramella. Il bambino, osservando il gesto, capiva e riproduceva l’azione con successo. Lo scimpanzé, al contrario, pur essendo un animale estremamente intelligente e capace di risolvere problemi di fisica. non riusciva a replicare il gesto: prendeva il tubo, lo mordeva, lo scuoteva, ma non capiva che doveva semplicemente togliere il tappo.
La differenza non stava nell’intelligenza astratta, ma nella capacità di apprendimento sociale, nella propensione a leggere e imitare l’intenzione dell’altro. È questa capacità — eminentemente umana — che ci permette di apprendere per via relazionale.
Conclusione
Queste due storie — Roseto e l’esperimento — mostrano con chiarezza che la dimensione relazionale è alla base della salute, dello sviluppo cognitivo ed emotivo, dell’educazione, del senso di sé. Senza contatto umano, senza comunità, senza relazioni, l’essere umano regredisce: si ammala, si isola, si spegne.
Recuperare questi elementi non è solo auspicabile, è necessario, se vogliamo costruire un futuro più sano, stabile e umano.