“Non siamo stati noi”: processo per il pestaggio alla Rocca tra alibi, ricordi confusi e una lettera anonima

SENIGALLIA – Quel 6 febbraio 2022 doveva essere un semplice rientro a casa, ma per un 49enne si trasformò in un incubo. Dopo aver invitato un gruppo di ragazzi alla calma, l’uomo finì travolto da calci, pugni e una bottigliata. Trenta giorni di prognosi e ferite gravi. Oggi, a distanza di oltre due anni, il processo entra nel vivo.Davanti alla giudice Tiziana Fancello, i quattro imputati – 21-27 anni – hanno risposto alle domande del tribunale. Tutti negano: chi sostiene di trovarsi in un bar, chi in un altro locale, chi addirittura in un altro comune. C’è persino chi dice di aver solo assistito alla scena da lontano, riconoscendo “qualcuno litigioso”, altro imputato nel dibattimento.La vicenda presenta contorni ancora da definire. A orientare inizialmente le indagini era stata una lettera anonima, recapitata ai carabinieri: elemento ritenuto significativo dall’accusa, ma considerato tutt’altro che solido dai difensori Roberto Paradisi, Raffaele Sebastianelli, Marco Proietti Mosca e Giuliano Natalucci.La persona offesa, rappresentata dall’avvocata Celine Canneto, aveva già raccontato in aula il trauma vissuto e lo shock nel risvegliarsi circondato da sconosciuti, con il volto sanguinante e il corpo dolorante.Il procedimento proseguirà il 20 novembre, quando verranno ascoltati i testimoni della difesa. Sarà un momento decisivo per un processo che ruota attorno a testimonianze, ricordi contrastanti e un messaggio anonimo che, almeno per ora, divide le parti: per una è un indizio, per l’altra un elemento troppo fragile per fondare accuse così pesanti.

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