Il ruolo della parte civile nel processo penale
La giustizia penale è un luogo concreto, nel quale se gli equilibri della tutela dei diritti non vengono rispettati, il risultato naturale è l’ingiustizia.
Gli equilibri sono complessi e passano, in modo chiaro ed evidente, dal sentire della collettività, dalla competenza del legislatore e dalla preparazione degli operatori (magistrati ed avvocati in primo luogo).
Il diritto penale ed il sistema processuale penale sono materia molto delicata, e per certi versi, collegata alle variazioni culturali e di sensibilità di tutela dei beni giuridici costituzionalmente orientati ed imprevisti.
Deve, però, essere fatta una ferma distinzione sul tema.
Un conto è il diritto penale positivo che disciplina, in modo chiaro e definito, quali siano i fatti concreti che si ritiene vadano a violare i beni giuridici protetti dalle varie fattispecie.
Un altro conto è il diritto processuale penale che è composto da quelle regole costituite da “pesi” e “contrappesi”, attraverso le quali si giunge alla verità processuale e, quindi, alla decisione sulla sussistenza della responsabilità di un imputato.
Abbiamo, più volte, scritto che vi è una essenziale necessità di tutela dei valori costituzionali con la massima fermezza, ma al tempo stesso, occorre una lungimirante visione ideale che porti ad un “diritto penale minimo”.
Un diritto penale che si apra ad una ampia depenalizzazione di quelle fattispecie che tutelano beni di secondaria importanza.
Questa è l’unica vera e concreta riforma di civiltà se si vuole una società pacificata ed una giustizia effettiva e funzionante.
Lo strumento della deflazione punitiva intesa come reati è lo strumento principale perché va a concretizzare quanto la collettività attuale sente, invece, come beni degni di tutela e con quale rigore.
Tale impostazione impone, però, ancora prima che mettere mano alle norme, una completa mutata concezione filosofica del diritto penale.
Il diritto penale non è il muro di contenimento dei comportamenti umani, ma è la linea di tutela dei beni, dei valori e dei principi che la collettività ritiene degni di protezione.
Appare ovvio che tutto ciò ci porta verso una idea del diritto penale non come linea di demarcazione, ma come norme che tutelano i beni giuridici primari.
Tale mutamento di approccio deve poggiare su di una filosofia che sia non di proliferazione di norme penali, ma di fermezza reale e senza remore circa i beni di primario valore.
Quello che dobbiamo chiarire, con estrema forza, è che la tutela penale è più solida se i fatti sanzionati sono un numero più contenuto.
L’ampliamento del diritto penale, di fatto, incide sulle libertà del cittadino che, invece, deve essere attento a non violare norme che vanno a ledere beni di primo piano.
Se il diritto penale si auspica che sia “minimo” per consentire uno spazio alle sanzioni di tipo amministrativo, il diritto processuale penale deve essere il tempio dell’equilibrio dei diritti, dei poteri e delle garanzie per tutti i soggetti processuali coinvolti.
Il processo penale ed il tipo di processo penale sono il metro attraverso il quale si fa luce sul fatto reato, sul reo, sulle implicazioni legate al fatto ed alla partecipazione soggettiva al reato del reo e (infine) sulla vittima.
Il processo penale deve considerarsi il metodo attraverso il quale si giunge alla verità che non è quella assoluta e di matrice filosofica, ma quella processuale e concreta.
Il processo penale è il coacervo ed il complesso reticolo di norme che sono utilizzate per approfondire un fatto che è definito reato e la attribuzione di questo fatto ad un soggetto determinato in termini di partecipazione soggettiva ed oggettiva.
L’inclinazione più o meno inquisitoria determina, da sempre, il sistema penale processuale che ora è più sbilanciato sull’accusa, ora è equilibrato da un contraddittorio tra le parti.
La scelta di quale tipo è il punto fondamentale da cui partire nel processo orale, immediato e pubblico.
Il nostro sistema processuale è oggi (dal 1989), ampiamente, riformato ed anche nel nostro Paese ha avuto accesso il c.d. processo accusatorio – anche nel nostro sistema la parte tra accusa e difesa è calibrata da un principio base che è quello del contraddittorio tra le parti come metodo di acquisizione della prova (Art. 111 Cost.) in giudizio.
Il processo penale ha, di fatto, tre momenti essenziali: le indagini preliminari, l’udienza preliminare ed il dibattimento.
Nelle indagini preliminari non vi è raccolta di prove, ma solo di fonti di prova.
Vi sono delle eccezioni, ma per lo più, avvengono davanti al Giudice per le Indagini Preliminari.
Nella udienza preliminare si valuta se l’azione penale può essere proseguita o deve definirsi il processo con una sentenza di non luogo a procedere.
L’udienza preliminare è anche il momento in cui si applicano, su richiesta dell’imputato, i c.d. riti speciali.
La fase del dibattimento è quella nella quale si forma la prova e viene accertato il fatto ed a chi deve essere attribuito sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profili soggettivo.
Le norme che permettono l’intero dibattimento sono norme che garantiscono il diritto di difesa all’imputato.
Lo garantiscono con la massima estensione e nel rispetto del principio dell’esercizio dell’azione penale (pubblico ministero) e del principio di difendersi provando (difesa).
Ma il processo penale non regola soltanto i rapporti tra accusa pubblica e difesa privata dell’imputato, ma regola (o regolerebbe) anche i rapporti con un terzo soggetto processuale: la parte civile (che nelle indagini prende il nome di parte offesa).
Il legislatore è sovrano nel decidere il grado di difesa della parti presenti nel processo e ci pare che anche alla luce della riforma Cartabia il ruolo effettivo della parte civile sia sfuocato e non di pari grado rispetto a quello delle altre due parti processuali.
La parte civile è presente per il ristoro del danno ed esercita, in sede penale, dei diritti di risarcimento che possono essere esercitati anche in sede civile.
Storicamente la parte civile è la vittima del reato.
La normativa attuale, sia nella nuova formulazione dell’art. 425 c.p.p., sia nella procedura in dibattimento alla costituzione della parte civile sia in altre particolari limitazioni (come quella di richiedere direttamente l’incidente probatorio) evidenzia, con chiarezza, la “antipatia” di fondo del sistema processuale penale rispetto alla parte civile.
Ed allora si impone una riflessione: quale ruolo all’azione privata nel processo penale se sono compresse, a vario titolo, le potenzialità?
Ci rendiamo conto di essere controcorrente e non vogliamo trascinare il ragionamento in un pietismo che non alberga nel nostro animo, ma ci pare irragionevole prevedere una parte privata che è riconosciuta nel processo, ma non dare alla stessa i medesimi poteri e facoltà delle altre due parti.
Bisogna – quindi – concretamente chiederci qual sia il ruolo effettivo della parte civile.
Senza contare che la vittima che si costituisce parte civile ha una “diminuita” attendibilità per costante giurisprudenza.
Tutto ciò può apparire ragionevole, ma a nostro parere non lo è affatto.
Per quale motivo una vittima deve rinunciare a chiedere il risarcimento per essere più attendibile?
Eppure su questo assunto si sono scritte sentenze di legittimità che vengono applicate dai giudici di merito, ma che non condividiamo nello spirito e nel tessuto motivazionale (sebbene ve ne siano altre di diverso segno).
La parte civile ha una storia complessa nel processo penale ed una via impossibile in ambito civile.
L’assunto che questa diminuita difesa sussiste perché i diritti della vittima sono difesi dal PM è argomento falso e fuorviante.
Il PM ha un ruolo di altra natura e si disinteressa del risarcimento.
Tanto è vero che quasi mai chiede il sequestro conservativo dei beni del reo a vantaggio della vittima.
La vittima del reato ha un campo minato ed in detta situazione non è “ben vista” da un sistema processuale che misura ogni sua scelta.
La compressione dei diritti della parte civile discende dalla necessità di rendere più snello il processo penale.
Si comprimono i diritti, si annullano e così si pensa di eliminare l’inciampo della parte civile.
Si studiano i sistemi anche sotto il profilo formale con una richiesta dell’atto di costituzione che assomigli all’atto di citazione.
Una richiesta capestro perché, di fatto, la parte civile nel processo penale e nel fascicolo del PM, trova le ragioni della sua azione privata nel processo penale.
Ma no, si richiede che, a pena di inammissibilità, l’atto di costituzione ricalchi i parametri dell’atto di citazione.
Criteri normativi accettabili, ma che manifestano, con chiarezza, una precisa linea di pensiero: togliere più possibile alla parte civile il suo ruolo nel processo penale.
Tutto ciò ha, però, una conseguenza che non può essere taciuta: le vittime restano senza difesa o con una difesa minorata.
È una scelta del legislatore che non condividiamo perché riteniamo che il diritto debba tutelare tutti i soggetti processuali al medesimo modo.
Rappresenta – a nostro parere – una regressione dei diritti di difesa (Art. 24 Cost.) che coinvolgono anche i diritti della vittima.
Al garantismo nel processo penale riservato all’imputato fa da contro altare la ridotta tutela della parte civile.
Ovvio che i “ben pensanti” (in particolare, le Camere Penali Nazionali che si sentono difensori solo degli imputati) non siano d’accordo, ma è un dato di fatto incontrovertibile ed inoppugnabile quanto, sin qui, asserito.
Abbiamo ripetuto che è una scelta del legislatore, ma tale scelta può avere conseguenze sociali gravi a fronte di una giustizia civile al collasso, ormai, da anni.
La giustizia è un equilibrio complesso di diritti e di interessi che se non considerati portano ad uno scontro sociale.
Le garanzie devono essere circolari e devono tutelare tutte le parti del processo in modo indistinto ed equo.
Non ultima è l’introduzione della giustizia ripartiva (Oltre la Vendetta di Marcello Bortolato e Edoardo Vigna – Ed. Laterza, 2025) che ai buoni propositi unisce una realtà applicativa del tutto fatiscente.
Ma, soprattutto, la giustizia ripartiva presuppone una nuova visione della composizione dei conflitti che prescinde dal riconoscimento del fatto e dal perdono (concetti avulsi), ma che poggia su di una parità tra reo e vittima.
Ma se la parte civile è svilita il rischio è che questo istituto, assai importante, non decolli come si vorrebbe e dovrebbe essere.
Non vorremmo che il legislatore, a furia di pensare a Caino, si sia perso per strada Abele.
Lo scenario, purtroppo, pare molto realistico e l’impatto sociale di tutto ciò potrebbe aprire scenari imprevedibili.
La parte civile non può essere derisa e mortificata nell’unico strumento umano che risponde alla lesione di in reato: il risarcimento.