A sette anni dalla tragedia del Ponte Morandi, il processo entra nel vivo. Lo scorso 16 giugno, nell’aula allestita sotto la tensostruttura, il pubblico ministero Cotugno ha aperto la requisitoria con un momento di forte intensità emotiva: la lettura dei nomi delle 43 vittime. In sala, il silenzio assoluto dei familiari, tra cui Marcello Bellasio, Egle e Daniela Possetti ed Emmanuel Diaz.La discussione, iniziata a giugno e proseguita nelle udienze estive, rappresenta il cuore del procedimento, con i pm Cotugno, Airoldi e Terrile impegnati a dimostrare la responsabilità dei 57 imputati. Secondo l’accusa, il crollo del viadotto Polcevera, definito la “Gioconda” di Autostrade per l’Italia, è il risultato di anni di omissioni e di un sistema di sorveglianza gravemente indebolito.I magistrati hanno puntato il dito contro la gestione dei controlli, alterata dalla modifica della convenzione tra Autostrade e Spea e dalla riduzione dei fondi destinati alla manutenzione, attribuendo precise responsabilità all’ex ad Giovanni Castellucci. Quest’ultimo, collegato dal carcere di Rebibbia, ha lamentato limitazioni al diritto di difesa. Al centro della requisitoria anche le perizie tecniche e la contestata affidabilità delle prove riflettometriche, definite dai pm “controlli da sciamano”. Per l’accusa, Autostrade era consapevole dei rischi legati alla pila 9 e avrebbe dovuto intervenire subito, sospendendo il traffico. L’aggravante dell’omicidio colposo sarebbe rafforzata dal mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro, già oggetto di patteggiamento da parte di Aspi e Spea in sede di udienza preliminare. A settembre toccherà alle parti civili, con l’avvocato Raffaele Caruso, e successivamente alle difese. La sentenza è attesa, salvo rinvii, entro il 2026, al termine di un processo che per numeri e complessità resta senza precedenti nella storia giudiziaria italiana.
Add a comment