Giustizialismo e Garantismo

La giustizia, in particolare quella penale, appare oggi sempre più oggetto di contrasti quotidiani tra le istituzioni; contrasti da cui emerge l’antagonismo che regna tra il giustizialismo e il garantismo, due correnti di pensiero che sembrano essere divenute le uniche forme distintive della qualificazione di ciò che accade nel mondo giuridico: “giustizialista o garantista, tertium non datur”.
In effetti questi termini individuano l’atteggiamento assunto nel modo di agire di ognuno di noi, che non ha niente a vedere con la giustizia vera, fondata sull’obiettività del giudizio nella valutazione di un fatto, che prescinde o dovrebbe prescindere dall’intrusione di sentimenti personali. Ciò che non sempre avviene. L’approccio al giudizio non sempre si dimostra, infatti, depurato da influenze educative in un senso o nell’altro di chi ad esso viene chiamato.  L’ambiente in cui si cresce non sempre risulta educativamente asettico, privo cioè di influenza in un senso o nell’altro, sicché ognuno di noi si conduce nella vita prigioniero del propria educazione.

Ogni giudizio diviene così espressione, si può dire, del carattere di chi lo esprime, che incide sulla sua obiettività e quindi sulla sua purezza giuridica. Ma c’è pure di più, perché uno o l’altro termine che qualifica un giudizio può essere frutto anche  del sentimento che domina in un dato momento storico nell’opinione pubblica, portandoci a concludere, così, che nessun giudizio è privo di intrusioni soggettive da parte di chi lo emette.

Tutto questo non lo sto esprimendo per caso, perché capita, talvolta, di ascoltare esperti che si dimenticano dell’inesistenza di una verità giuridica priva di ingerenze “extra ordinem”.

Le critiche generalizzate all’attuale procedimento penale, per esempio, causative di una notevole quantità di archiviazioni e di assoluzioni, non possono venire meno, come contrariamente da taluni affermato, per l’obbligo d’iscrizione di una notizia di reato nel registro degli indagati, che peraltro potrebbe essere oggetto di riflessione da parte del legislatore, esse riguardano la diffusione mediatica di tale iscrizione, in assenza  della valutazione di una verosimile probabilità di condanna conseguenziale o di un interesse pubblico concreto sottostante all’informazione, che espongono ingiustamente alla gogna mediatica la reputazione del malcapitato di turno.
La vicenda di Milano sull’annullamento degli arresti, domicilari e non, dimostra ancora una volta, qualora ve ne fosse bisogno, la necessità, pertanto, di procedere ad una modifica culturale della legge di procedura penale, più tesa ad evitare l’ignominia che inevitabilmente riversa ora sulle persone, incolpevolmente poste sotto i riflettori della cronaca giudiziaria, e più tesa, invece, al rafforzamento della salvaguardia del principio “in dubio pro reo”, anche  nelle fasi preliminari delle indagini, come da me diffusamente scritto nel libro “Castigo senza Delitto” – Beccaria dove sei? – Appare insomma lecito chiedersi se la dignità e anche la reputazione, non meritino di essere meglio tutelate dall’eccesso  d’informazione su fatti d’interesse esclusivamente privato. Appare cioè lecito chiedersi quali limiti imporre alla libertà d’informazione, per non travalicare l’interesse pubblico ad essa sotteso nell’art. 21  della Costituzione.
Queste critiche non vogliono essere, comunque, un freno alla legittima libertà di stampa,  ma sono mosse dall’auspicio di raffozzarne la serietà, della quale un Paese che affonda le sue radici nella culla della civiltà giuridica non può fare a meno, soprattutto oggi che essa viene offuscata dalla diffusione delle fake news.        

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